Mi trovavo davanti a un
grosso cancello di ferro che chiudeva una specie di cortile ricavato nella
roccia. Dentro c'erano imprigionati centinaia di bambini tenuti come ebrei in un lager. Erano sporchissimi,
puzzolenti, unti, vestiti di stracci, coi capelli nerissimi.
Mi suscitavano un po' di pietà e tanto fastidio
per la loro sporcizia che mi ricordava quella degli zingari (che nella realtà mi infastidiscono moltissimo). Però mi
facevano anche pena, allora allungavo una mano vincendo il fastidio per la loro
sporcizia. Poiché loro mi tendevano le mani, io ne stringevo una, poi mi
allontanavo pensando di avere la mano sporca.
All'improvviso vedevo sulla mia
mano due pidocchi e una zecca che correvano veloci. Mi dicevo: "Hai visto? Con la
loro sporcizia mi hanno attaccato qualcosa!". Cercavo di prendere i parassiti
ma non ci riuscivo. Allora li facevo cadere a terra con un sasso appuntito e
schiacciavo uno dei parassiti. Ne usciva un'enorme quantità di sangue umano schifoso. A giudicare dal sangue che sprizzava dal parassita avevo la sensazione di avere
schiacciato uno dei bambini.
Interpretazione
Il
paziente si trova nella prima fase dell'analisi, quando la distanza con le
proprie parti considerate "sporche" è ancora enorme. Allora l'unico
modo per farle affiorare è "proiettarle" all'esterno e sentirle come
cosa diversa da sé (parassiti).
Il
rifiuto di toccare direttamente quelle parti è talmente grande che il sognatore
deve ricorrere a un sasso per liberarsene. E nei loro confronti ha una reazione
ambivalente, da un lato gli suscitano un profondo schifo-rifiuto, dall’altro prova
anche pietà. Non solo, il sogno fornisce anche una valutazione “quantitativa”
delle due reazioni: la pietà è soltanto “un po’”, il fastidio invece è “tanto”.
Da notare che non è lui a prendere l'iniziativa per stabilire il contatto, sono i bambini. E quando il contatto si stabilisce è solo per poco tempo in quanto lui ritira subito la mano. Quel fugace contatto è però sufficiente per trasmettergli dei parassiti.
Il
sognatore ha preso i parassiti entrando in contatto con dei bambini. Facile
dedurne che si tratta di emozioni che ha provato quando era bambino (è la norma). Ha tentato
di liberarsene rimuovendole nell’inconscio (roccia) e tenendole ben chiuse
dietro un grosso cancello di ferro (difese) che tuttora continua a tenere
chiuso.
Quando
il paziente dice “allungavo la mano” per toccarli si percepisce la sua ritrosia
a entrare pienamente in contatto con quelle parti, come avverrebbe se invece
abbracciasse quei bambini.
A
livello profondo il paziente realizza anche che quelle parti rimosse gli “succhiano”
grandi quantità di energia vitale (sangue). Ecco perché le rappresenta come pidocchi-zecche.
Se
si pensa che il punto di arrivo dovrà essere l'integrazione nella coscienza di
questi contenuti avvertiti come "schifosi", si può ben capire che Il
cammino da percorrere sarà lungo.